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Nella ko sprint sulle rive del Reno è emerso un nuovo Renato Pasini

renatoPasini.jpg (60284 byte)Si aspettava Cristian Zorzi nella "2 giorni" dello sprint a Düsseldorf, prima prova della Coppa del Mondo 2003-2004, ed è invece venuto fuori Renato Pasini. Postumi di influenza e una trasferta massacrante da Ramsau, con un viaggio durato 15 ore per un guasto al pulmino, hanno messo in ginocchio "Zorro" e così, in questa occasione, numero 1 della nazionale azzurra vestita da quest’anno di rosso è diventato Pasini, elemento di punta del gruppo Sprint Torino 2006. Ottavo nella classifica finale dopo il decimo posto in qualificazione, e ottavo pure nella staffetta corsa insieme a De Bertolis. La conferma di potenzialità evidenziate finora solo in parte e ancor tutte da esprimere da parte di questo ragazzone di 26 anni, 83 chili di peso distribuiti su 180 cm di altezza. Fisicamente è messo bene, tecnicamente pure. Perfetto nello stile, tanto da aver superato senza problemi le prove pratiche del corso per maestri di sci, sostenuto con la Regione Veneto, mentre si trovava al centro Sportivo della Forestale, e poi anche il corso allenatori.
Sa sgomitare e buttarsi nella mischia, quando è il caso, senza nessun timore reverenziale: lo ha appreso a proprie spese Rotchev che l’anno scorso, a Clusone, si è trovato a gambe all’aria. Correva davanti ai suoi tifosi, era entrato nei 16 della qualificazione e voleva fare bella figura su un percorso dove può esprimere bene tecnica e potenza. In discesa ha preso sparato una curva e ha travolto il russo. In classifica è finito 14°, posizione migliorata poi a Brusson (13°) e a Salisburgo (11°). Adesso a Düsseldorf un altro passo avanti verso le posizioni nobili della classifica delle ko sprint.
Lo troviamo a casa, a Valgoglio. E’ appena rientrato da un allenamento con gli skiroll da Ardesio, fino a Lizzola, proprio in cima alla Val Seriana. Una tirata di 22 km, gli ultimi sei in salita. Attrezzo da allenamento, per macinar fatica insieme ai chilometri. Seduta in palestra al mattino con Fabio Santus, che l’ha affiancato anche nel pomeriggio in questo tipo di lavoro che è entrato ormai nella preparazione quotidiana anche quando vanno sul ghiacciaio, e con il quale i fondisti azzurri curano, con la spinta, la forza specifica. Fabio lo ha accompagnato fino ai piedi della salita, dove è rimasto ad attenderlo, effettuando qualche ripetuta nella zona di Valbondione; a recuperare Renato ha provveduto mamma Albertina, che li ha poi riportati indietro entrambi.

Considerando che lo usi come mezzo di allenamento, hai mai partecipato a gare di skiroll?
«Me la cavo piuttosto bene e qualcosa ho fatto, ma non più di tanto. Quest’anno, per esempio, invitato da Polvara, ho gareggiato a Barzio, in Valsassina. Una staffetta a coppie con Santus. Abbiamo vinto, e c’erano campioni come Di Gregorio, Zorzi, Piller Cottrer, Valbusa, Carrara. Qui in Val Seriana preferiamo la corsa in montagna. Ci impegnavamo già da ragazzini, insieme alla campestri e a qualche gara su strada. Con noi è cresciuto anche Bourifa, il marocchino naturalizzato italiano che è diventato azzurro di maratona. In corsa con lui non c’era niente da fare già allora, ma quando c’era salita di mezzo era Santus a dominare, oppure De Gasperi, attuale pluricampione del mondo di corsa in montagna, sui percorsi misti con discese. Io sono pesante e faccio più fatica degli altri quando la strada sale, ma a Schilpario, il paese di Maj, ho vinto il Trofeo Tagliaferri».

Ti alleni spesso con Santus?
«Abitiamo vicino, facciamo quasi lo stesso tipo di lavoro ed è naturale prepararsi insieme nei periodi in cui ci troviamo entrambi a casa contemporaneamente. Se non c’è lui, trovo quasi sempre qualche altro. I ragazzi dello sci club Gromo, i seniores con i quali la domenica ci dedichiamo a camminate o sci-alpinistiche. La compagnia con cui sono cresciuto. Usciamo insieme e poi qualche amico viene a prenderci con il pulmino».

Con le sci-alpinistiche concludi abitualmente la stagione agonistica. Una specie di recupero attivo o competizione a tutti gli effetti?
«L’uno e l’altro. Il Mezzalana, per esempio, l’ho sempre affrontato con un certo impegno. Il miglior piazzamento il 6° posto di due anni fa con Fontana e Molin. Quest’anno l’ho corso con Cardini e con Stauder, l’allenatore del Centro Sportivo Forestale del quale faccio parte dal 2000. Stauder non era preparato per una gara così dura, per cui l’abbiamo affrontata senza sputare l’anima. L’importante era partecipare e arrivare, ed è quello che abbiamo fatto. Seguendo il suo ritmo. Ho avuto almeno la possibilità di ammirare il panorama, che è stupendo e abbiamo concluso al limite delle 5 ore. Un tempo dignitoso. La mia ambizione, però, è quella di vincere il Parravicini. Si corre sulle montagne di casa, che conosco metro per metro. Mio padre Alfredo l’ha vinto tre volte, io come miglior piazzamento ho ottenuto il secondo posto nell’ultima edizione insieme a mio fratello Fabio, quello che corre per il C.S. Esercito. Purtroppo è stata ridotta come chilometraggio e difficoltà per carenza di neve. Ho preso un minuto dai fratelli Ghisafi, ma credo che sul percorso completo avrei potuto recuperare il distacco e passare in testa. Sarà per la prossima volta».

Sei inserito nel gruppo dello sprint. Una scelta obbligata per il fatto che è la specialità in cui ti esprimi meglio?
«Credo di sì, anche se me la cavo bene pure sui 10-15 km. Su queste distanze rendo di più a tecnica classica, mentre a skating ho un difetto non tecnico ma psicologico. Non mi concentro abbastanza. Nelle ko sprint, invece, mi trovo meglio quando la gara è a skating. Che poi io preferisca gli sprint dipende forse dal fatto che la prima gara di Coppa del Mondo che ho affrontato da senior è stata una ko sprint. A Milano, nel prato del velodromo Vigorelli da poco inaugurato. Era la prima volta che lo sci di fondo veniva portato in una metropoli, fuori dal suo ambiente naturale e dalla tradizione. I primi punti di Coppa li ho fatti due anni fa a Brusson. Di certo non amo le lunghe distanze».

Quando sei diventato fondista?
«Attorno ai 12 anni. Fino ad allora avevo fatto discesa, gare comprese. Mettevo qualche volta gli sci stretti per accompagnarmi a papà, che mi insegnava la tecnica, ma non ho mai fatto gare. All’agonismo nel fondo sono arrivato con i Giochi della Gioventù, a Isolaccia, e l’esperienza fatta con la discesa è risultata preziosa. Sono arrivato nei 20, ho poi scalato qualche posizione da allievo e mi sono avvicinato ai vertici della classifica da junior. Titoli italiani con la staffetta delle Alpi Centrali, un bronzo nella 30 km a tecnica libera a Folgaria, e ancora nell’inseguimento a Paluzza nel 1996».

E il salto di qualità quando è avvenuto?
«C’è voluto un po’ di tempo. I primi 5 anni da senior ho sofferto come capita quasi a tutti al passaggio di categoria. Dei cinque della nazionale juniores sono stato il solo a non passare in squadra. Ci sono andati Carrara, Santus, Paluselli e Grandelis, e io sono rimasto al Centro Sportivo: prima con i Carabinieri e poi con la Forestale. Ho seguito lo stesso cammino di Fabio Maj. La più grossa soddisfazione è stato il titolo di staffetta vinto a Sappada. Ho fatto il lancio e con Maj, Pozzi e Valbusa ho battuto proprio i Carabinieri. In squadra sono arrivato con lo sprint, ed è in questo tipo di gara che ho conquistato i miei migliori risultati. Il secondo posto agli assoluti di Brusson dietro a Zorzi, la qualificazione in Coppa a Clusone e Oslo. Anche a Borlange ero 12° a pochi metri dal traguardo quando mi si è infilato un bastoncino fra gli sci che mi ha fatto perdere l’occasione….».

La gara più emozionante?
«Sicuramente quella di Oslo. Il fatto stesso di trovarmi in quello che è il massimo tempio del fondo, fra tutta quella gente, mi ha lasciato sbigottito. Un’emozione incredibile. Sentivo le gambe molli e, su neve dove si sprofondava, non era certo il massimo né il miglior incentivo a far bene. Malgrado tutto mi sono guadagnato l’accesso ai quarti. E sì che sulla neve fradicia proprio non vado, come è capitato agli assoluti a Gallio Campomulo. Fine stagione, neve molle, scarse motivazioni. Con il peso che mi ritrovo, io ho bisogno di neve dura».

Prossimi appuntamenti?
«La sprint a tecnica libera del 7 dicembre a Dobbiaco e poi quella a tecnica classica del 16 dicembre ad Asiago».

Curi in modo particolare la tua alimentazione?
«Non seguo diete particolari, ma leggo molto al riguardo. Mi piace essere informato. Cerco di scindere le proteine dai carboidrati. Pasta a mezzogiorno, più proteine alla sera. Mi tengo controllato, non sono uno che a tavola esagera».

Come vedi il tuo futuro?
«Naturalmente nella Forestale. Un bell’ambiente, la possibilità di continuare a prestare servizio a casa mia, dopo aver chiuso l’attività agonistica, operando in mezzo ai boschi e non sulla strada o in una caserma. Una scelta di vita. A scuola sono sempre andato bene, malgrado le lunghe e ripetute assenze per gare e periodi di ritiro, 50/60 alla maturità quando ho preso il diploma di geometra, ma per andare all’università per frequentare Architettura ci sarebbero stati grossi problemi. Milano è lontana dalla Val Seriana e la vita da pendolare non mi attirava proprio. Così, quando mi è stata prospettata la possibilità di entrare nel Centro Sportivo Carabinieri e poi nella Forestale non ho esitato un attimo poiché mi consentiva di continuare a praticare il fondo al massimo livello. Ho sfruttato l’occasione e ne sono contento. Adesso che sono entrato nel giro della nazionale, l’obiettivo sono i Mondiali 2005 a Obersdorf e le Olimpiadi di Torino 2006. Un posto nella ko sprint penso di potermelo guadagnare».

 Giorgio Brusadelli         
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