Le interviste
Mirco Collavo: “mister Ercolina”, skirollista e inventore
     

Sposato da un anno, papà da un mese, Mirco Collavo il suo fans club ce l’ha in casa. In attesa che si aggreghino amici e tifosi, che non mancano, è piccolo ma competente e non potrebbe essere diversamente: la moglie, Annemarie Straub, olandese, è stata nazionale di skiroll. In maglia arancione ha gareggiato ai Mondiali juniores del 1990. Lui l’ha conosciuta 4 anni fa in Germania. Un colpo di fulmine, che ha costretto entrambi a fare i pendolari dell’amore. Lui da Quero, in provincia di Belluno, andava a trovarla a Garmisch-Partenkirchen dove lei studiava in quel periodo, lei a sua volta faceva il percorso inverso quando veniva il suo turno. Alla fine la reciproca decisione che era meglio stare insieme. Hanno convissuto per un certo tempo finché, il 27 settembre 2002, poco dopo i Mondiali in Val d’Aosta, il legame è sfociato nel matrimonio, allietato dalla nascita di Gabriella, che è diventata il secondo e più importante elemento di questo fans club per ora solo familiare.

Naturalmente è aumentato l’impegno per il novello papà che deve riuscire a far collimare il suo lavoro di dipendente Enel, la passione per lo skiroll che coltiva da 18 anni, la necessità di allenamenti  per mantenere una condizione che gli permetta di continuare a far parte della nazionale, e infine la costruzione dell’Ercolina. Si chiama così l’attrezzo che sta trovando un buon mercato nell’ambiente del fondo, particolarmente apprezzato da americani, tedeschi, norvegesi e giapponesi, oltre che dagli italiani che hanno avuto modo di provarlo. Ormai  una buona parte del suo tempo viene occupato nell’assemblaggio dei pezzi e negli studi per arrivare all’informatizzazione dell’attrezzo.

Ti si potrebbe chiamare "mister Ercolina"…. A questo punto i risultati che hai ottenuto nello skiroll passano in secondo piano….
«No, per niente. Entrambe le cose procedono parallelamente. Lo skiroll mi piace e intendo continuare a gareggiare, sperando nella convocazione per i Mondiali 2004. Sono in programma a St. Wendel, in Baviera, a fine agosto. Un per percorso, tecnico.  Ho già 33 anni, c’è sempre maggior  concorrenza in  squadra perché si è creato un bell’ambiente, le cose vanno bene e tutti ci  tengono a farne parte. Ci sono giovani in crescita, come Michele Rainer, Simone Paredi ed Eugenio Bianchi, che ci stanno con il fiato sul collo. Si può mettere insieme una bella pattuglia, ma se solo perdi un colpo ti scavalcano subito.  Basta un  infortunio e recuperare è difficile come è capitato a me quest’ anno.   In seguito ad una caduta ho riportato   una lesione ad un quadricipite che mi ha tenuto fermo per un mese. Poi, per fortuna, mi ha rimesso insieme un fisioterapista».

Come fai a conciliare il lavoro, la famiglia, le ercoline con gli allenamenti?
«Con il part time che l’Enel mi ha concesso. Mezza giornata la trascorro a Feltre, in ufficio, il resto lo passo a casa. Così posso anche allenarmi di più. Malgrado i maggior impegni, va sicuramente meglio di prima, quando lavoravo a Porto Marghera e abitavo a Fusina. Allora sì che allenarsi era un problema…. Dovevo fare i salti mortali per conciliare le uscite con gli skiroll con le 8-9 ore quotidiane di lavoro nella centrale termoelettrica dove, come assistente di carpenteria, avevo un ruolo di coordinamento. Mi allenavo di sera nella zona della centrale.  Funzionando questa a carbone e per quanto ci fossero i filtri, un certa dispersione di fumo c’era sempre. Ogni volta rientravo a casa tutto nero.  D’inverno, comunque, con il buio potevo far poco. Ripiegavo con la palestra o mi allenavo in casa, con l’ercolina. In una gara di Coppa Italia a Dobbiaco avevo visto che i russi avevano una macchina del genere, l’ho osservata bene e me ne sono fatta una».

Sotto questo aspetto la situazione è indubbiamente migliorata. Segui qualche programma particolare?
«No. Non seguo né tabelle né schemi precisi, ma vado piuttosto a sensazioni. Prevalentemente uscite in skiroll, ma per far fiato anche corsa a piedi, specialmente in montagna per allenarmi in salita.. Qualche garetta locale di tanto in  tanto, giusto per testare la condizione. Mi piace anche la mountain bike. Nel ‘98 ho addirittura mollato lo skiroll per darmi alla MTB. Nelle gare regionali finivo regolarmente nei primi tre. Poi, però, ho preferito tornare alla vecchia passione, intervallando lo skiroll con qualche granfondo di sci. Quelle dell’Italian Ranking, qualche gara per cittadini. Il miglior risultato un 41° posto alla Marcialonga».

Come sei arrivato allo skiroll?
«Ho cominciato a 15 anni. Ero piuttosto grosso e pesante per la mia età. Facevo il collaudatore di Skiway. Se resistevano al mio peso non c’erano problemi. Poi sono venute le gare: sempre per lo Sci Club Gatto delle Nevi.

Tecnicamente come ti giudichi?
Perfettibile. Discretamente impostato, ma con qualche difettino come mi fa notare l’amico-avversario Alfio Di Gregorio. Difficile però rimediare. Ci provi in allenamento, ma poi nella foga della gara ti scomponi. Sotto questo aspetto sarebbero stati utili i raduni della nazionale, avviati quest’anno. Però non ho mai potuto parteciparvi a causa della gravidanza di Annemarie, che ha condizionato anche la partecipazione a parecchie gare».

Che tipo di percorsi preferisci?
«E’ in salita che mi esprimo meglio, anche se quest’anno ho ottenuto i migliori risultati sul piano. Ho la fortuna di trovare salite di 18-20 km a poca distanza da casa. Il Monte Cesen da Valdobbiadene, il Grappa dalle sue varie dorsali, una più dura dell’altra, lo stesso passo Croce d’Aune dove si corre il Grand Prix Sportful. Una gara durissima, dove si schierano i migliori fondisti, che ci lasciano poco spazio, ma che mi piace. Un settimo posto il mio miglior risultato. Mi trovo bene sui percorsi tecnici poiché le discese non mi fanno paura. Tra l’altro, facendo skiroll, non ho più paura delle discese neppure nel fondo, come invece mi capitava prima».

Di Gregorio a parte, che è inarrivabile, anche tu sei un buon vincente....
«Non tocca a me dirlo, ma una ventina di successi alle spalle li ho anch’io.   La svolta in carriera è arrivata dopo il 2° posto ai campionati italiani 1993, dietro Alfio Di Gregorio, che era reduce dal successo nei World Games. Ho visto di avere delle potenzialità e ho cominciato a darci dentro. Quattro o cinque vittorie nella Coppa Italia 1995, oltre alla Coppa Italia 1994-1995-2000-2001, un successo in una gara di Coppa del Mondo in salita a tecnica libera nel 1999 e il terzo posto nella classifica finale; due bronzi, sempre in Coppa nel 2000 in altrettante gare in salita a tecnica libera e a tecnica classica, nella quali ho preceduto Alfio e i francesi, e ancora il terzo posto finale; un argento sempre in  Coppa nel 2001 e un bronzo quest'anno a Rotterdam. Primo infine nella classifica finale del Gran Premio Italia 2000 con avversari del calibro di Muehlegg e Di Centa. Sono arrivato a pochi secondi da Muehlegg in una Superroll del Cervino, che è sempre stata la mia gara preferita. Per la distanza e per il tipo di percorso, con salita non eccessivamente dura, con  tratti pianeggianti che ti permettono di respirare, e l’arrivo a 2000 metri. La quota non mi ha mai dato fastidio».

Torniamo al discorso dell’ercolina. Spiegaci come funziona…
«Sul principio dell’attrito che una ventola, girando, forma con l’aria che oppone una resistenza che si può variare a piacimento aumentando i giri. Tirando effettuo uno sforzo come quello della spinta, mentre quando rilasci c’è lo scarico. E’ dunque un grosso aiuto per l’allenamento. Ho fatto la prova con un trapano e si  può arrivare fino ad un assorbimento di 800 Watt a 2000 giri. Naturalmente è impossibile tirare le pulegge fino a quel punto con la sola forza di braccia, ma il test è indicativo delle potenzialità dell’attrezzo. Ti devi regolare sulle sensazioni. Un calcolo esatto lo si potrà fare quando collegheremo l’ercolina a un computer. E’ un esperimento che sta portando avanti zio Bill, che è ingegnere elettronico. Per il prototipo è questione di giorni, di settimane al massimo. Si potranno effettuare test di potenza e di forza, intercambiabili, con i dati riportati sul display».

Un attrezzo del genere, facilmente trasportabile per di più, diventa indispensabile per lo sport del giorno d’oggi. Skiroll, sci di fondo, canottaggio e anche tutti gli sport in cui devi esprimere forza di braccia….
«Per quanto riguarda il canottaggio ci sta provando una società di Trieste. Nel fondo anche la FISI ha acquistato una macchina. La sta provando Diego Maranetto l’allenatore della squadra sprint Torino 2006. Agli skirollisti olandesi ne ho venduta una in occasione dei Mondiali 2000. L’hanno vista i giapponesi, che ne hanno acquistate subito due, poi altre 20, e poi altre 10 in due diverse occasioni. Le cercano i fondisti ma anche i biathleti. Chi le acquista torna e ringrazia. Ho un buon mercato negli USA, in Germania e in Norvegia. Sarà un caso, ma l’espansione in questi Paesi rispecchia i miglioramenti che si evidenziano nelle rispettive nazionali. C’è un’indubbia relazione con l’uso dell’attrezzo. Bjoerndahlen si è addirittura innamorato della mia ercolina: oltre ad averne 5 per uso personale, ne ha comperate altre per la squadra norvegese maschile e femminile di biathlon. Si è già messo in nota per il modello computerizzato».

C’è qualche atleta che ammiri in modo particolare, al quale ti vorresti ispirare?
«Dei nostri Pietro Piller Cottrer, fra gli stranieri Alsgaard, Bjhoerdahlen, Evi Sachenbacher, Katrin Smigun. Mi piacerebbe sciare come loro, ma questo è un sogno impossibile. Purtroppo nello sci ho ancor più difetti che nello skiroll».

C’è qualcuno che vorresti ringraziare in modo particolare?
«Parecchi. Roberto Tonussi per primo, amico insostituibile. Mi ha aiutato parecchio facendo conoscere l’ercolina. Poi il CT Pierluigi Papa, che mi tiene sotto pressione con le sue telefonate e che mi è stato vicino durante la gravidanza di mia moglie. Si era trovato nelle mie stesse condizioni un anno prima e certi suoi consigli sono stati preziosi. I compagni di nazionale, amici e avversari nello stesso tempo. Infine Virgilio, Maurizio e Davide, che sanno tenermi su di morale. Capita di averne bisogno e in   questo caso so di poter sempre contare su di loro».

 Giorgio Brusadelli         
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